LA DIATRIBA sulla proroga di 2 anni dei termini per esperire accertamento, che avrebbe permesso al “vorace” fisco di approfittare della pandemia per esperire pretese tributarie fino al 31 12 2027 per l’anno 2020, anziché fino al 2025,

sembra essere scongiurata dopo il dl. 18 CURA ITALIA, con il passaggio in Senato è stato modificato nella formulazione della proroga biennale anche se non convincente e precisa.

La nuova espressione usata nel passaggio in Senato, è fumosa sia sotto l’aspetto tecnico-fiscale sia sotto l’aspetto della reale volontà di non INSERIRE TALE INIQUA PROROGA.

INTERESSATI TUTTI GLI ATTI FISCALI per le attività di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione, in relazione ai periodi d’imposta in scadenza nell’annualità interessata dalla sospensione dei versamenti e degli adempimenti.

Con l’emendamento dei senatori Dell’Olio, Dessi, Gallicchio e Conzatti la formulazione del comma 4 dell’art. 67 del dl. 18 Cura Italia è stato così modificato:

“Con riferimento ai termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli uffici degli enti impositori si applica, anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 12, commi 1 e 3, del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159.”

Tale modifica operata dal Senato non appare precisa e darà luogo a impossibilità nel coordinare le norme in funzione del non allungamento dei termini per l’accertamento relativamente all’anno in cui si voleva concretamente ottenere l’eliminazione della proroga, dei termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli enti impositori in scadenza nel 2020, che è appunto la previsione normativa contenuta nel “famigerato” comma 2 dell’art. 12 del D.Lgs. n. 159/2015.

Le modifiche del Senato al dl. 18 richiamano in maniera inutile i commi 1-3 dell’art. 12 del D.Lgs. n. 159 del 2015 e poi,  impone un parallelismo temporale, ovvero “per un corrispondente periodo di tempo”, tra:
– il periodo di sospensione dei termini di versamento di tributi, contributi previdenziali e assistenziali e premi per l’assicurazione obbligatoria, e
– il periodo di sospensione dei termini previsti per gli adempimenti anche processuali, nonché dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione.

CIO’ ENTRA IN CONFLITTO CON GLI ART. 60,61,62 DELLO STESSO DECRETO 18 2020 CURA ITALIA.

Infatti, gli articoli predetti, prevedendo un periodo sospensivo dei termini di versamento di imposte e contributi differenziati e non coincidenti con il periodo di sospensione dei termini previsti per gli adempimenti anche processuali, nonché dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione RENDE CONFUSIONARIA LA NORMA E ASSOLUTAMENTE NON GARANTISTA.

Infatti il congelamento dei pagamenti è stata soggetta a variabili oggettive e soggettive, ossia non per tutti, anche in base al territorio interessato, e all’ammontare dei ricavi o compensi del periodo d’imposta 2019, che ha generato un mappa temporale diversificata e affatto sovrapponibile al periodo di sospensione dei termini previsti per gli adempimenti e per l’accertamento, che sono stati invece autonomamente disciplinati e diversificati (anche al proprio interno) dal decreto Cura Italia.

Quindi una contraddizione che non congela e proroga per tutti i versamenti, ma allunga i termini di decadenza dell’accertamento in maniera assoluta e per ogni contribuente di qualsiasi attività trattasi.

Un disallineamento che sa di beffa fiscale per coloro che sono stati condannati dall’epidemia:

l’ art. 67, comma 1, dall’art. 83 e dall’art. 62, comma 1, del Cura Italia,  rispettivamente sospendono:
– dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori;

– dal 9 marzo al 15 aprile 2020 il decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, inclusi quelli tributari per disposizione del successivo art. 83, comma 21;

– gli adempimenti tributari diversi dai versamenti e diversi dall’effettuazione delle ritenute alla fonte e delle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale, che scadono nel periodo compreso tra l’8 marzo e il 31 maggio 2020.

Con tali incongruenze è lapalissiano attendersi una cancellazione della proroga dei termini che potrebbe non avere applicazione e non si raggiunga l’obiettivo di sterilizzare la proroga biennale dei termini di prescrizione e decadenza di accertamenti e simili.

Una soluzione quella del Senato, che voleva risolvere lo scandalo della proroga dei termini di accertamento, ma che al momento, almeno a livello letterale non è per niente soddisfacente.

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