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Scritture contabili: E’ reato penale la distruzione o l’occultamento.

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L’occultamento delle scritture contabili dell’impresa è “reato penale di natura permanente”.

E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 20741 del 14 maggio scorso, rigettando il ricorso proposto dall’ imputato.

Il Dlgs 74/2000 prescrive che “l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ed IVA” costituisce prova dello stato “soggettivo” dell’imputato che ha agito per  «finalità di evasione».

Risponde quindi del reato penale di occultamento delle scritture contabili l’imprenditore, presso la cui sede, i militari hanno rinvenuto ad esempio un cd-rom contenente una contabilità parallela, non essendo questa documentazione imposta dalla legge.

Fatti di causa

Contestazione di reato

La Corte d’appello di Lecce condannava il titolare di una ditta individuale ad oltre un anno di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del reato penale di occultamento dei registri costituenti le scritture contabili aziendali ex articolo 10 Dlgs 74/2000.

Resistenza dell’imputato per prescrizione

La Corte affermava, che la contestazione dell’imputato circa l’invocata prescrizione dei reati commessi fino al 2004, non poteva trovare accoglimento, “trattandosi di reato penale di natura permanente”, in quanto la condotta delittuosa ha inizio con l’invio dell’accertamento fiscale, dies a quo da cui decorre il termine prescrittivo.

Scritture Contabili inesistenti

Oltre a ciò, la Corte di Appello adita, confermava la pronuncia  del primo giudice «”sulla non plausibilità” delle giustificazioni in ordine al mancato rinvenimento delle scritture contabili, e che la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed Iva costituisce prova del dolo specifico e della finalità evasiva».

Prescrizione richiesta

L’imputato ricorreva in Cassazione, lamentando l’illegittimità della sentenza di secondo grado, in ossequio all’ articolo 606, lett. b-c-e) del codice di procedura penale – per «violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata».

Nel caso di specie, l’imputato affermava che «non era emersa in alcun modo la volontà di occultamento dei registri o distruzione delle scritture contabili, in quanto dal verbale di constatazione della GDF, era scaturito solo il dato “oggettivo” della mancanza di una parte delle scritture contabili obbligatorie per legge, negli anni indicati nel capo di imputazione».

Lo stesso rilevava inoltre, come da testimonianze a favore, che  “nel corso del controllo era stato rinvenuto un cd-rom contenente tutta la contabilità della ditta: ciò dimostrava, secondo l’imprenditore, in maniera assoluta l’assenza di volontà di evasione e di occultamento delle scritture contabili e quindi dei redditi”.

Scritture contabili parzialmente esistenti

Nonostante la non corretta tenuta delle scritture contabili, il ricorrente adduceva di non aveva impedito la ricostruzione del fatturato e del reddito d’impresa.

In subordine, chiedeva la prescrizione dei reati.

Riportiamo da FiscoOggi l’integrale pronuncia di Cassazione.

La pronuncia della Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, condannandolo alla refusione delle spese processuali, nonché al pagamento delle sanzione pecuniarie, di cui all’articolo 616 del codice di procedura penale, ravvisando gli elementi della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Secondo i giudici della Cassazione, infatti, il ricorso non contiene alcuna specifica censura alla sentenza di secondo grado, limitandosi a richiedere una rivisitazione del materiale istruttorio, attraverso un giudizio di merito non consentito in sede di legittimità.

Tra l’altro, secondo i giudici, la sentenza impugnata, con un percorso argomentativo coerente e privo di vizi logici, ha correttamente motivato in ordine alla valenza del cd-rom (considerato un documento e una fonte diversa da quella la cui tenuta è imposta dalla legge), alla finalità di evasione fiscale perseguita dal contribuente e all’inapplicabilità della prescrizione (attesa la natura permanente del reato).

Ai sensi dell’articolo 10 del Dlgs 74/2000: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”.

Come si evince dal tenore letterale della norma, la condotta criminosa investe scritture contabili, documentazione contabile o altri documenti utili ai fini della ricostruzione del reddito o del volume d’affari del contribuente.

Si tratta di comportamenti prodromici rispetto a condotte evasive vere e proprie, dotati di un elevato grado di pericolosità sociale in quanto compromettono la possibilità di ricostruire l’esatta capacità contributiva dei soggetti responsabili.

La condotta tipica del reato consiste nel nascondere o distruggere la documentazione esistente, rendendo così impossibile la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.

Più precisamente, l’occultamento consiste nel tenere nascosta la contabilità, per cui la fattispecie criminosa non può ritenersi integrata qualora, ad esempio, il contribuente abbia affidato a terzi la tenuta della propria contabilità. L’occultamento può invece realizzarsi nascondendo i documenti in un luogo diverso da quello in cui (in base alle comunicazioni al Fisco) dovrebbero essere tenuti.

Secondo parte della giurisprudenza, il reato sarebbe integrato anche dal rifiuto di esibizione della contabilità, quando tale comportamento sottintenda la volontà di sottrarre la documentazione all’Amministrazione finanziaria, rendendola indisponibile alla stessa (cfr Cassazione 3332/1991).

La distruzione consiste, invece, nell’eliminazione o soppressione materiale delle scritture contabili o dei documenti ovvero nel disfacimento degli stessi, così da impedirne la semplice lettura.

Può aversi distruzione tanto nel caso di eliminazione fisica della documentazione quanto in caso di trasformazione della stessa in modo da renderla inidonea alla ricostruzione dei redditi o del volume di affari (ad esempio, apportando cancellazioni o abrasioni).

Il bene giuridico tutelato da tale norma incriminatrice è rappresentato dalla cosiddetta “trasparenza fiscale”, intesa come interesse al corretto esercizio della funzione di accertamento tributario. Proprio perché la ratio della norma è quella di garantire l’esatto adempimento delle obbligazioni tributarie, “i documenti e le scritture contabili in oggetto non possono essere, evidentemente, se non quelli e solo quelli aventi rilievo sotto il profilo fiscale” (cfr Cassazione 36624/2012, in senso conforme 3057/2007).

Per l’individuazione delle scritture contabili e degli altri documenti di cui è obbligatoria la conservazione, si deve far riferimento all’articolo 22 del Dpr 660/1973 che fa rinvio, tra l’altro, alle scritture obbligatorie ai sensi del codice civile, previste dall’articolo 2214 cc.

Proprio richiamando il secondo comma di tale ultima disposizione (secondo il quale l’imprenditore deve altresì tenere le scritture che sono richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa), la giurisprudenza, in riferimento all’attività di un’impresa di costruzioni e di un agente immobiliare, ha ricompreso in tale categoria il contratto preliminare di compravendita di immobili, “atteso che comprovando l’avvenuta corresponsione di pagamenti a titolo di caparra in vista della stipulazione del contratto definitivo, assume la veste di vera e propria ricevuta, indubbiamente rilevante ai fini fiscali, attestando, per la impresa venditrice, un ricavo imponibile” (cfr Cassazione 36624/2012).

Va inoltre evidenziato che, affinché sia configurabile il delitto in esame, l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume di affari derivante dall’occultamento delle scritture non va intesa in senso assoluto ma, in conformità a quanto stabilito dalla giurisprudenza di legittimità anche in tema di bancarotta documentale (di cui, tale delitto rappresenta un’ipotesi sussidiaria, come testimoniato dall’espressione del predetto articolo 10 “salvo che il fatto costituisca più grave reato”) ricorre anche laddove gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (cfr Cassazione sentenza 10423/2000).

Infine, in merito alla natura di tale reato, secondo una giurisprudenza ormai consolidata, si deve ritenere che si tratti di un reato “permanente”, in quanto la condotta penale dura sino al momento dell’accertamento fiscale, dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione.

Nello specifico, le sentenze 13716/2006 e 4871/2006 si soffermano sulla condotta tipica del delitto di occultamento o distruzione di scritture contabili, precisando che la distruzione configura un reato istantaneo che si realizza al momento dell’eliminazione della documentazione, la quale può consistere o nella stessa eliminazione del supporto cartaceo o in cancellature o abrasioni.

L’occultamento, a differenza della distruzione, dà luogo a un reato permanente perché l’obbligo di esibizione perdura finché è consentito il controllo e, quindi, la condotta antigiuridica si protrae nel tempo a discrezione del reo, il quale, a differenza della distruzione, ha il potere di far cessare l’occultamento esibendo i documenti.

Anche con la sentenza 3055/2008, la Corte di cassazione ribadisce che il reato di occultamento della documentazione contabile ha carattere permanente, posto che la condotta penale dura sino al momento dell’accertamento fiscale. Solo da questo momento, quindi, decorre il termine per la prescrizione.

La Cassazione, con la sentenza in commento, si è pronunciata esclusivamente sulla corretta applicazione di tali principi ad opera della Commissione tributaria regionale.

Opinione:

L’occultamento e la distruzione delle scritture contabili diventano reato in concomitanza con l’omessa dichiarazione dei redditi ed IVA, in modo tale che l’amministrazione finanziaria, in alcun modo potrà risalire al volume d’affari e al reddito d’impresa.

Solo con questi due elementi concomitanti e prodromici si ravvisa il reato penale.

Ciò a valere come base per eventuali ricorsi per i propri clienti.

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