AGI – Si riunirà alle 12 la Direzione nel corso della quale Nicola Zingaretti chiederà ufficialmente al Pd di sposare la linea del Sì al referendum, forte della legge elettorale e delle riforme entrate nel calendario dell’Aula di Montecitorio. Risultati di fronte ai quali comunque il segretario dem non può ancora tirare il fiato perché il clima nel partito continua a essere teso e l’approssimarsi delle Regionali non aiuta a ritrovare serenità.

Il Pd sente di poter andare sul velluto solo in Campania, mentre Puglia, Marche, Liguria, Valle D’Aosta, Veneto, e anche Toscana, si racconta di una partita tutta da giocare. E l’incertezza, come spesso avviene, sta creando timori e sospetti anche nei gruppi parlamentari.

La pole position di Bonaccini

Deriverebbe da questo, spiega una fonte parlamentare, la ricostruzione che vuole il governatore dell’Emilia, Stefano Bonaccini, pronto ad approfittare di una sconfitta nelle regioni per subentrare al segretario, con l’appoggio di pezzi del partito e, addirittura di Matteo Renzi. L’obiettivo comune è di scardinare il rapporto con M5s.

“Si tratta di ipotesi e deduzioni molto forzate che si basano su alcuni fatti: la forza di Stefano Bonaccini, da una parte, e gli ostacoli che sta incontrando Zingaretti dall’altra”, spiegano le stesse fonti. Ostacoli peraltro segnalati dallo stesso leader dem nella lettera in cui si diceva “stufo delle ipocrisie” e lanciava una sfida: “Chi vuole votare, lo dica”.

Certo, viene spiegato, una sconfitta alle Regionali rappresenterebbe un duro colpo per la segreteria, ma da qui a ipotizzare un passo indietro di Zingaretti ‘ce ne corre’. Senza contare che, in quel caso, ne deriverebbe verosimilmente un periodo di reggenza di Andrea Orlando e quindi l’indizione del congresso. Insomma, un processo lungo dagli esiti difficili da prevedere.

Che Bonaccini possa essere in futuro il maggior competitor di Zingaretti non sfugge a nessuno, ma ipotizzare un’accelerazione di questo tipo viene considerato avventato. Intanto, lo stesso Bonaccini glissa con un “si vedrà una volta che verranno scrutinate le schede” e spiega di ritenere che “saranno le urne a decretare i risultati, non i sondaggi, né le discussioni di questi giorni”. “La destra è unita contro di noi, evitiamo ora di discutere ‘tra’ noi”, gli manda a dire il vicesegretario Pd toscano, Valerio Fabiani.

Le voci del ‘no’

Poi c’è la calendarizzazione della legge elettorale e dei correttivi istituzionali al taglio dei parlamentari, a dare argomenti alle voci critiche che provengono dal fronte del No interno. Come quella di Giorgio Gori, che ribadisce di non volere la fine del governo ma non manca di sottolineare che “il Pd non può sottostare alla bandierona populista dei 5 stelle“, ovvero il taglio dei parlamentari.

Il pressing di Orfini

La voce più critica è quella di Matteo Orfini per il quale, a tre settimane dal voto, “è evidente che non ci sarà né la riforma elettorale né i correttivi istituzionali e il timing fissato dalla capigruppo della Camera non cambia assolutamente nulla”. “Calendarizzazione non significa nulla – aggiunge il dirigente del parito – dopo un anno senza fare niente. E senza un accordo sul merito della legge. Di che stiamo parlando?”, afferma.

Per lo stato maggiore dem, tuttavia, il fatto che ci sia una data per la discussione delle riforme in campo è già una garanzia sufficiente dell’impegno della maggioranza a rispettare i punti del patto. “Ho riaperto una battaglia politica perché tutti siano leali con gli impegni presi: dei segnali ci sono stati, si è riaperto il cantiere delle riforme e anche questo è un fatto positivo che io rivendico come una battaglia del Pd”, sottolinea Zingaretti. Una posizione che vede tutte le aree del partito a sostegno della segreteria in questo percorso di riforme, così come prevedeva l’ordine del giorno votato nell’ultima assemblea di febbraio.

Il partito lavorerà ai ‘correttivi’

“La riduzione dei parlamentari è solo un primo tassello molto parziale di un necessario processo complessivo – si leggeva in quell’odg – Il Pd lavorerà attivamente dopo il referendum anche per il completamento delle proposte il cui indice è presente nell’accordo di maggioranza, rispetto alla riforma del rapporto fiduciario, che va ripensato anche alla luce della nuova legge elettorale e a forme di differenziazione del bicameralismo che consentano anche di limitare i conflitti con gli enti territoriali“.

La crisi sanitaria portò allo slittamento dell’appuntamento con le urne ma – fa rilevare un esponente di primo piano – a febbraio l’assemblea dem era già consapevole che le riforme e i correttivi sarebbero stati oggetto di un lavoro successivo al referendum. E quanto alle obiezioni sulla presunta delegittimazione del Parlamento conseguente al taglio degli eletti, c’è chi ricorda che in quello stesso odg si leggeva, tra le altre cose: “Rigettiamo la posizione infondata secondo cui una volta approvata la riduzione il Parlamento sarebbe delegittimato. Il Parlamento si legittima costantemente con la propria capacità di riforme, anche sul piano istituzionale per tornare a votare alla scadenza che la Costituzione indica come fisiologica con istituzioni rinnovate”.

L’endorsement di Gentiloni

Ad ogni modo, a rendere merito al lavoro di Zingaretti c’è Paolo Gentiloni: “Dobbiamo lavorare a testa bassa, ringraziando tutto il gruppo dirigente, ma in particolare Nicola Zingaretti che si sta impegnando tantissimo – ha detto il Commissario Ue dalla Festa nazionale dell’Unità – Abbiamo avuto un momento particolare, abbiamo subito una scissione dolorosa che sembrava dovesse portare a chissà quali fuochi d’artificio e siamo riusciti a gestire come fa Nicola, in modo un pò flessibile, questa vicenda”. Dunque “la leadership del Pd ha lavorato per ottenere questi risultati e ognuno farà le sue valutazioni. Io penso che abbiamo fatto bene a scegliere Zingaretti e gli sono grato per quel che ha fatto in questo periodo”. 

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