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Cassazione: bonus assunzioni illegittimo, dovute le sanzioni anche con la buona fede.

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La Corte di Cassazione nel pronunciarsi sul recupero dell’indebito utilizzo del bonus assunzioni, ha disposto che le sanzioni sono  sempre dovute anche nel caso di buona fede del datore di lavoro.

E’ “sempre” l’impresa ad avere l’obbligo di accertare la sussistenza delle condizioni necessarie per usufrire del credito d’imposta, senza che possa validarsi alcun rilievo alle attestazioni rese dai dipendenti circa il possesso del requisito necessario.

Per il recupero “del bonus assunzioni per incremento della base occupazionale (art. 7 Legge 388/2000) INDEBITAMENTE UTILIZZATO e conseguente irrogazione delle sanzioni relative, la responsabilità dell’impresa non potrà essere esclusa dall’esistenza delle dichiarazioni sostitutive dei dipendenti che confermavano la sussistenza dei requisiti per ottenere il bonus, che aveva in buona fede prese per veritiere.

Questo il principio sancito dalla sentenza della Corte di cassazione n. 13755 de 31 maggio 2013.

FATTISPECIE DI CAUSA

Una società cooperativa ricorreva contro un avviso di accertamento che gli recuperava il bonus assunzioni utilizzato indebitamente per l’incremento della base occupazionale comprese le sanzioni.

Ciò in quanto i lavoratori per i quali si era ottenuto il bonus  non possedevano i requisiti previsti per l’accesso al beneficio:

Tali dipendenti infatti nei 24 mesi precedenti l’assunzione, erano stati occupati a tempo indeterminato, mentre il requisito soggettivo – per ottenere il credito – prevedeva che il lavoratore assunto non avesse avuto alcun rapporto lavorativo negli stesssi 24 mesi antecedenti l’assunzione.

In  primo grado la cooperativa si vedeva respinto il ricorso.

Mentre la CTR d’appello accoglieva parzialmente il ricorso della cooperativa, annullando le sanzioni e disponendo solo la restituzione del bonus assunzioni utilizzato.

Le motivazioni dei giudici di merito in riguardo alla non debenza delle sanzioni, si ricollegavano all’art. 6 del Dlgs 472/1997  che non prevede la “responsabilità dell’agente in caso di violazioni “per errore di fatto:  ovvero quando l’errore non è determinato da colpa”. Nella fattispecie, secondo i giudici dell’appello,  la colpa era da escludere poiché la cooperativa  aveva raccolto dai lavoratori « una dichiarazione sostitutiva» con cui essi si assumevano òa personale responsabilità in ordine alla circostanza di non aver avuto pregressi rapporti di lavoro nei 24 mesi antecedenti l’assunzione.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva  in Cassazione, in quanto riteneva inapplicabile l’articolo 6 del citato Dlgs. 472/1997, che dispone l’esonero da responsabilità in mancanza di colpa del contribuente, quale non era il caso della cooperativa.

La Cassazione ha accolto le doglianze dell’Agenzia comminando le sanzioni come previste nell’avviso di accertamento.

I giudici togati hanno affermato  che la sanzioni tributarie sono dovute, nel momento in cui, come previsto dall’art.  5 del Dlgs 472/1997, sia imputabile in capo all’agente sia la volontarietà del comportamento “sia la colpevolezza”.

Secondo i giudici di legittimità risulta normale che una volta che sia stata dimostrata la volontarietà del comportamento, ai fini dell’irrogazione delle sanzioni non è necessario dimostrarne la colpa o il dolo. L’onere di provarne il contrario rimane nelle spettanze  di colui che ha commesso la violazione.

L’errore non è scusabile secondo la Corte se “si tratta di errore evitabile con l’uso dell’ordinaria diligenza, quella che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente”, avendo dovuto verificare la sussistenza dei requisiti dei lavoratori per l’ottenimento del bonus presso il Centro Per l’impego.

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